lunedì 19 maggio 2008

ombre rosse: la danza dei connessi.

Ombre rosse respiravano nel buio attorno a me, mentre un ritmo persistente si faceva strada attraverso i miei timpani fino a scegliere il mio stomaco come cassa di risonanza. Un battere di mani, di piedi, di ferro contro plastica, di plastica contro legno, di pelle contro pelle. Nell’aria profumo di erba bruciata, di quella buona.

Ero arrivato, seguendo le indicazioni del navigatore satellitare, a questo enorme magazzino, forse un grosso centro commerciale. Avevo abbandonato l’auto nell’ampio parcheggio che sembrava un campo minato sul quale era passata una maratona, al sicuro tra due carcasse di camion.

Ora stavo osservando la strana danza di due individui al centro di questa specie di pista o arena, percepivo la presenza di numerose altre persone, ma non riuscivo a vedere nessuno, udivo solo il loro ritmare incessante.

I due individui si muovevano lentamente, in circolo, dandosi le spalle, con il culo quasi a terra, sembrava imitassero due scimmie durante il corteggiamento. Distinguevo la lieve luminescenza di due cavi che spuntavano da dietro la nuca dei contendenti, due grossi cavi che si perdevano nell’oscurità sopra di loro.

Improvvisamente aumentò il ritmo della musica, ed aumentò il ritmo del vorticare dei due connessi. Cominciarono a fronteggiarsi, spalancando bocca ed occhi in un urlo selvaggio, continuando a girare in circolo. Qualcuno gettò una torcia in mezzo a loro, e nel sopraggiunto debole chiarore distinsi il mio uomo: Bacus, il programmatore. L’altra era una donna dai lunghi capelli rasta raccolti in un unica treccia sulla nuca.

Incuranti del fuoco tra di loro, i due contendenti iniziarono a girare su se stessi, allungando gambe e braccia. Sembravano due trottole irregolari. Due burattini o due folli ballerini che si rincorrevano come lingue di fiamma, rapiti da una medesima febbre.

Il ritmo aumentò nuovamente, ed un’altra torcia venne gettata nel mezzo. Ora potevo distinguerli nitidamente. Gio98 aveva una specie di tecno tuta priva di maniche, l’altra un corpetto aderente e pantaloni di diverse taglie troppo grandi per quel corpo, i piedi di entrambi erano nudi e sembravano non avvertire ne i pezzi di vetro sparsi in terra ne il fuoco.

Improvvisamente Bacus allungò un braccio portando un colpo alla testa del suo avversario. Questi rispose piegandosi sulle ginocchia ed assestando un calcio verso l’alto. Altre torce vennero gettate nel mezzo, mentre la danza assumeva i contorni di uno scontro, una forma di lotta primitiva, così come la musica che risuonava tutt’intorno. Si scambiarono ancora alcuni colpi blandi, rituali, introduttivi, poi via via crebbe il ritmo del vorticoso combattimento, crebbe la forza, la violenza, crebbero le fiamme, e cominciò a scorrere il sangue. La tipetta assestò un paio di colpi non male al mio uomo che vacillò e cercò una reazione con un colpo a vuoto. Si ritiraro per qualche istante, poi un altro colpo a vuoto, un calcio portato troppo alto che lasciò per un istante scoperta la guardia del giovane. La ragazza gli assestò rapida un calcio sulla gamba d’appoggio, ed una gomitata nel mento. Bacus era già in ginocchio quando la rastafariana gli piantò un destro all’altezza dell’orecchio, e quindi subito un sinistro sul naso. Il volto del programmatore della Short Code era una torta gelato alla fragola sotto il sole d’agosto , eppure rimaneva dritto sulle ginocchia, le braccia lungo i fianchi e la testa eretta, a prendersi i colpi dell’avversaria. Il sangue che cadeva in terra rifletteva il chiarore delle fiamme. Ormai non era più una lotta, sembrava un sacrificio. Un sacrificio volontario. Bacus aveva uno strano ghigno sulla faccia tumefatta. Si stava facendo massacrare con il sorriso in faccia.

Mi riscossi dallo stordimento dovuto al fumo nell’aria ed alla musica, e tirai fuori la mia Tannauser P38. Non potevo permettere che continuasse quel macello, volevo portare via di lì la pelle del signor Bacus di professione programmatore prima che fosse invitato ad un giro di poker con nostro signore, volevo fare qualcosa per tornare alla realtà e scacciare quell’incubo dai miei occhi.

Non sentii il colpo arrivare.

1 commento:

ALEX PANICHI ha detto...

si fa interessante