giovedì 5 giugno 2008

ombre rosse: fuochi d'artificio

Due puntini rossi si inseguivano su d’una tela nera. Poi i due puntini crebbero e crebbero fino ad occupare quasi tutto lo schermo. Quindi uno dei due inglobò l’altro ed io vi precipitai dentro. Il fischio stridulo d’un modem iniziò a ripetere indefinitamente la sua sequenza di modulazione, mentre un fiume di sangue caldo mi trasportava avvolgendomi nella sua corrente. Una progressione di numeri multipli di otto prese a succedersi in un angolo della mia mente. Cercai di muovermi, di allungare un braccio, e mi accorsi di non avere nessun braccio, ne gambe, ne nulla. Ero solo una scarica di energia cosciente. Un infinitesimo io, in relazione variabile con l’ambiente fluidiforme. Volevo gridare ma riusci soltanto a produrre una debole anomalia nel fluire dei dati. Poi caddi, precipitai in una cascata di variabili, in un nodo di collegamento, e mi ritrovai a galleggiare in un mare di stelle luminose. Riuscivo a sentire frammenti di comunicazione in tutte le lingue del mondo, vedevo pulsare intorno a me punti di varia grandezza, che si avvicinavano e allontanavano lasciando strisce di bava sulla superficie calma di questo cielo rosso sangue. Cercai nuovamente di muovermi ma qualcosa teneva legata la mia coscienza, la mia volontà era imprigionata in un muro di fuoco, in una rete logica. Un constante ritmico pulsare prese a sovrapporsi ai fischi ed alle voci. Una finestra si spalancò davanti a me, poi si richiuse. Altre finestre si aprirono e si chiusero asincronicamente sulla superficie infinita di pareti verticali. Da una di queste si affacciò il sorriso sornione di Backus, salutando con la manina. Mi sentii scivolare verso il basso, come una goccia di pioggia su di un vetro, come una lumaca su di una foglia che strisciando lascia una sottile stella filante di luce.



Spalancai gli occhi. Non riuscivo a distinguere nulla, e nel buio attorno a me sentivo il calore d’un fuoco troppo vicino. Nel vuoto silenzio, l’unica presenza era il forte battere del mio cuore che sembrava volesse uscirmi dal petto. Improvvisamente mi si spalancarono i polmoni, ed un violento attacco di tosse mi fece piegare di lato. Sputai sangue, bile ed alcool, e ritrovai la luce. Ero circondato da fumo e fiamme. Mi tirai su con fatica, appoggiandomi sui gomiti. La mia sputapiombo era gettata i miei piedi. Pile di cartoni ed ammassi di rifiuti bruciavano producendo un intenso fumo nero, le fiamme già avevano raggiunto le pareti e correvano verso il soffitto. Sputai ancora un po’ di bile in terra e mi alzai in piedi. La testa girava, ma le gambe sembravano reggere bene il peso del resto del corpo. Mi toccai dietro la nuca ed un acuto dolore quasi mi fece perdere nuovamente i sensi. Rimasi alcuni secondi ad occhi chiusi, a riprendere coraggio e forza. Poi mi strappai un lembo di camicia e me la legai intorno alla bocca. Mi guardai intorno. Ero nello stesso posto. Mi aveva dato una gran botta in testa e mi avevano lasciato lì. Rovistai nelle mie tasche in cerca delle chiavi e del portafogli, quindi rincuorato dalla loro presenza mi chinai a raccogliere la pistola. Un nuovo fitto dolore mi fece cantare un’avemaria.

Dovevo trovare Bacus, e portare entrambe le nostre pellacce fuori di lì. E dovevo farlo alla svelta. Aggirai un mucchio di plastica in fiamme, cercando di trattenere il respiro.

Il chiarore dell’incendio rendeva difficile distinguere i contorni delle cose e confondeva la mia percezione dello spazio. Le lenti ad infrarosso davano una lettura alterata. Sparai un paio di colpi in aria tanto per mettere le cose in chiaro, ma sospettavo di stare sprecando proiettili e tempo.

Scorsi una sagoma in terra, mi avvicinai. Le fiamme avevano parzialmente bruciato i vestiti ed i capelli di questo povero cristo, e tra le croste di sangue rappreso del volto spuntava la sottile lama bianca dello strano sorriso del giovane programmatore. Mi tolsi la giacca per spegnere il fuoco troppo vicino e presi quella testa tra le mani. Lo chiamai più volte per nome, cercai di scuoterlo, ma non ottenni nessuna risposta. Eppure respirava ancora. Nei suoi occhi aperti brillava ancora un remoto barlume di vita. Gli diedi un paio di schiaffi, ma niente, nulla sembrava potere cancellare quel ghigno ridicolo da quella faccia pista. Lo sollevai e notai dal riflesso argenteo del cavo che era ancora connesso. Il serpente gli entrava nel cervello da una presa neurale all’altezza dell’ultima vertebra sul collo. Staccai il cavo e mi caricai il ragazzo sulle spalle.



Uscii all’aperto da una porta di sicurezza. Mi allontanai rapido dall’edificio quel tanto che bastava a metterci al riparo, e scaricai in terra Bacus. Il tetto del centro commerciale o quello che era crollò di schiando producendo un esplosione di scintille e fumo. Fuochi d’artificio che filtravano attraverso le lenti dei miei occhi come missili sparati nel buio. Tastai il polso del giovane ma niente battiti. Avvicinai l’orecchio alla sua bocca, ma nulla, nessun suono. Aveva gli occhi ancora aperti, ma non c’era più luce e non c’era più vita. Ancora sorrideva il bastardo.

Mi sedetti in terra accanto al corpo, e rimasi ad ammirare lo spettacolo delle fiamme sempre più alte. Frugai tra le tasche della giacca e tirai fuori il pacchetto sigarette. Sfortunatamente avevo perso l’accendino. Me ne restai lì. A chiacchierare col mio nuovo amico.

-“ Allora, mi racconti cosa ti è successo? Hai deciso di tagliare la corda anche tu, vero? E cosa speri di trovare? Piccolo stronzo!” – , mi tirai su, mi stazzonai i vestiti e trascinai il cadavere fino alla macchina. Avevamo ancora un viaggetto da fare insieme, anche se in città non c’era nessuno ad aspettarci.

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