giovedì 1 maggio 2008

Duel Me

Da giorni ormai sono intrappolato in questo dannato chip. In attesa che il mio caso venga analizzato dal tribunale 21, titolare delle inchieste relative alle truffe informatiche, attacchi hacker, broking, cracker, trojan horse e malware. La mia esistenza rinchiusa in un nanogrammo di silicio. Il mio corpo no, quello è da un'altra parte, buttato in qualche biovasca assieme a centinaia come me in attesa di giudizio. Dannazione. Sto iniziando a perdere la cognizione del tempo e so che non deve succedere, è uno dei primi passi verso l'annullamento. La mente non è fatta per stare sveglia settimane e settimane senza staccare la spina, anche se questi stronzi ti assicurano che qui sei al sicuro e che non riporterai danni. Fanculo! Me la sto facendo sotto e questa maledetta assenza di sensazioni mi manda in tilt..so già quello che può succedere..Prima si perde la consapevolezza delle ore e dei giorni, poi pian piano i dettagli dei ricordi si fanno confusi fino a quando il cervello ti inzia a frullare. Si, almeno così me lo raccontava il vecchio pacMan, che un paio di volte era tornato indietro dall'annullamento. Come un grande frullatore, dove il cervello butta dentro tutto alla rinfusa e il suono di un blu affettato si mischia a quando mi sono squarciato lo stomaco per farmi una pesseggiata dannazione dannazione sta inziando devo resistere resistere resistere mi sento un punto dentro un caos primordiale senza fame e mentre mangio un pezzetto di verde dormo occhio bluuu navigo in questo stesso attimo ceralacca c'èra qualcosa di me in quel fottuto fottuto ho lasciato un pezzo di seme sperma bianco capelli fame fame fame sudore sangue su giu su giuuu calma. silicio...verde....ascolto i miei occhi allungarsi di nuovo gialli elastici di gomma si rigonfiano dentro rosse rosse fessure fessure infinite, due binari come quelle di quei cazzi di treni di un paio disecoli fa, enormi, fallo trapano buco scopare scopare che fino a fatto quella tipa che mi stavo sbattendo da doraimon?sei bravo, sei bravo Giucas mi dice chimica mentre mi passa la pasticca bluuuuuuuuuuuu do do do do la sento ansimare nelle mie orecchie e gridare il silenzio del mio nome puttana puttana sei stata tu a tradirmi mi mi mi mi sono perso bam bam bam puttana puttana hai mio figlio nella tua fica da cyborg mio figlio che tu sia maledetta mio figlio giu giu giu Giucas sento Giucas mio figlio sta crecendo dentro il suo utero Giucas Giucas qualcuno mi chiama oppure sono io, un'altro me qui dentro o un qualcun altro là fuori Giu Giu GIucas Giucas mio figlio che cresce cresce e mi chiama per nome Giucas g ecco ecco inizio a vederci qualcosa. Un altro me. Due me che si fronteggiano separati da un cristallo, intatti nel loro vestito blu e scarpe da running. Intorno bianco latte e silenzio. E negli occhi dei due me niente altro se non il riflesso di me stesso. Sono in grado di guardarmi negli occhi senza distogliere lo sguardo? di assolvermi per quanto fatto fin'ora? Giucas con la G di Gesù, hacker anarchico col pallino dei soldi, che hai condannato il figlio di merlin ad una esistenza infelice. La tua punizione. La mia punizione quale è?

Nessuna, solo il timore di morire. Un giorno.

E se. Il timore fosse quello di Giucas numero 2. Non morire mai
quale più grande solititudine. sopravvivere alla morte altrui...

mercoledì 30 aprile 2008

ombre rosse: pochi spiccioli ad un innocente

Stavo ancora digerendo il mio meraviglioso pasto quando scesi dalla macchina in viale Togliatti.

Mi incamminai tra bancarelle di vestiti usati, chioschi da ristoro improvvisati, tavoli da gioco, danzatrici cubiste ed accattoni, mucchi di immondizie e poveri cristi, tutti generalmente malnutriti e vestiti secondo i dettami dell’ultima moda degli straccioni. Un venditore mi offrì per pochi spiccioli un bicchierino di un liquore denso e scuro al quale aveva aggiunto latte condensato e granella di noccioline. Lo mandai giù in un solo sorso, senza chiedere cosa fosse o come si chiamasse l’intruglio. Non sono il tipo che resiste alle tentazioni, per principio. Il mio stomaco non protestò poi troppo. Ringraziai e tirai dritto.

Avevo deciso che valeva la pena fare un salto nella tana del signor Bacus.

Abitava in un miniappartamento all’alveare 334 di Centocelle. Uno dei tanti megacomplessi di edilizia popolare. Squallidi palazzoni costruiti sulle macerie del quartiere romano per ospitare i disperati del primo grande flusso migratorio dalle terre libere, quelli che non erano stati inclusi nel programma di colonizzazione spaziale, i poveri che non avevano potuto permettersi una quota azionaria di una delle stazioni orbitanti o che non potevano vantare nessuna qualifica utile a procurargli un visto per il mondo esterno. Relitti umani come me, solo che io avevo scelto volontariamente di restare. E mia moglie non me lo aveva mai perdonato.

Il portone d’ingresso pendeva semistaccato dai cardini, e gli scalini erano un microcosmo di creature striscianti e rifiuti. Entrai nell’atrio cercando di trattenere il respiro. L’ascensore naturalmente era rotto, e dentro vi aveva trovato alloggio un anziano signore. Stava guardando la tv ad un volume assordante. Cominciai a salire le scale, facendo attenzione a dove mettevo i piedi. Il primo piano, pianerottolo e rampa di scale compreso, era interamente occupato da una comunità di cinesi, la maggior parte dei quali se ne stava seduto con saldatori a filo di stagno in mano e schede di circuiti integrati sopra le gambe piegate. Il secondo ed il terzo piano erano abitati da diverse famiglie, e c’era odore di cibo nell’aria, e musica pop. Mi misi di lena e raggiunsi più rapidamente che potevo il piano del mio uomo, il dodicesimo. Sul suo pianerottolo viveva una famigliola. S’erano ben sistemati piazzando un cucinino sul davanzale dell’unica finestra, ed un letto a castello a metà tra scale e vano ascensore . Una tv era legata al corrimano. C’era un bambino al quale allungai una moneta dicendogli di scendere al bar a comprarmi le sigarette. Sapevo che non avrei più rivisto quella faccia innocente, ne tanto meno avrei avuto un pacchetto di sigarette in cambio dei due eurodollari. Ripresi fiato mentre mi guardavo in giro cercando di concentrarmi.

Il portone di Giovanni era quello contrassegnato dal numero 109. Era chiuso a chiave. Tirai fuori l’astuccio con i miei attrezzi da scasso e mi misi all’opera. Un forellino col mini laser, una spruzzatina di telio nel micronebulizzatore, una scarica con il faser elettromagnetico snodabile. Mandai in corto la placca della serratura, e feci scattare il blocco. Entrai circospetto, alla ricerca di infrarossi antintrusione o altri elementari antifurto, ma non successe nulla. Mi voltai cercando di orientarmi, poi mi ricordai della piccola torcia che avevo in dotazione come buon poliziotto.

Era un salone piuttosto piccolo, quello dove mi trovavo, con un divano e libri e riviste sparsi un po’ ovunque. Una porta era aperta e dava su un cucinino mal fornito, e minuscolo anch’esso. Poi c’era la stanza da letto con relativo bagno. Disordine e sporcizia erano equamente distribuiti in tutta casa. Quest’ultima stanza fungeva anche da studio, con un grosso generatore elettrico ed un gruppo di continuità seminascosti dal letto. C’erano diversi monitor e stazioni di lavoro, pile di rack di memoria esterna, e lettori digitali per vari supporti. Cavi elettrici pendevano dal soffitto e si ammucchiavano in terra. Notai un impianto da innesto neurale collegato ad un piccolo hub wireless da tasca, poggiato sopra l’unica sedia. In un’angolo sopra un tavolino di modeste dimensioni c’era un vecchio 80/88. Roba da collezionisti, o da accattoni.

Rivolsi la mia attenzione al piccolo congegno posato sulla sedia, lo presi e mi sedetti rigirandomelo tra le dita. Che il tipo fosse un informatico già lo sapevo. Non sapevo che fosse un eletto, un net-runner, un surfista della rete, un fanatico con neural-ware nel cervello. Non tutti quelli che lo richiedevano sopravvivevano all’innesto. Un’operazione difficile, e dolorosa.

Questo comunque non aggiungeva molto alla mia ricerca. Erano in tanti, troppi, ad avere provato a bruciarsi il cervello con quegli innesti.

Mi accesi una sigaretta cercando di farmi venire qualche idea su come fare a trovarlo.

Avrei potuto rintracciare il suo spacciatore. Tutti i net-runner avevano un bisogno costante di droghe. Ma qualcosa mi diceva di non perdere tempo in quella direzione. Famiglia non l’aveva, in quanto a relazioni amorose non vi avrei scommesso una scorreggia.

Mi tornarono in mente quei numeri, 198.32.127, ed ebbi una delle mie più improbabili intuizioni. Poi un improvviso rumore alle mie spalle mi fece scattare in piedi. La sedia si rovesciò in terra mentre con una mano puntavo la torcia verso la porta e con l’altra estraevo la pistola.

Una donna mi guardava dalla soglia con occhi stanchi e spaventati. Il bambino fece capolino dall’ombra dietro di lei, stringendo un lembo del vestito. La donna mi porse un pacchetto di sigarette nuovo, dicendo con voce esitante: -“ Il signor Bacus è andato via. Possiamo restare qui finché non torna?”-. Feci un cenno affermativo con la testa e riposi l’arma.

lunedì 28 aprile 2008

Rasta Blasta cronicles

"Che bello sarebbe se invece di insalata fossero piante di maria!, pensavo guardando all'insù nell'enorme serra verticale della MangiaBio Group. A quell'epoca lavoravo come idraulico per conto della Multi Tecno Services nella filiale di Roma Boccea. Lavoravo, insomma!, più che altro ingannavo il tempo ragazzi. Come direbbe mio nonno Giras l'importante è la salute e la ganja, tutto il resto non conta, i soldi poi è meglio lasciarli contare ad altri, non portano la felicità nè la salute, la ganja si invece. Voi avete mai fumato ragazzi? Erba buona intendo, vera, genuina, non le solite sinto droghe o i derivati da muffe chimiche, insomma una bella cima verde, con i fiorellini rosso arancio e quel profumo che ti prende alla gola e all'anima... Cazzo, ragazzi, è un po' che non fumo e c'ho una certa scimmia che mi tira i dread!"-

Rasta Blasta sospirò, poi guardò con benevolenza i due ragazzini seduti davanti a lui, -" Comunque vi dicevo che ero dentro questa serra dalle parti di Valle Aurelia, dove coltivavano la lattuga, c'erano diversi piani di reticoli in acciaio inox e strati e strati di piante che affondavano le radici nel vuoto, sospese, l'aria era umida per via delle nebulizzazioni continue che fornivano nutrimento alle piante, ad intervalli credo regolari, credo perchè non sono stato a controllare, non sono uno pignolo io, poi c'erano lampade e lampade qua e là che fornivano luce. Una vera sciccheria insomma, altro che zappa e terra e merda di vacca per concime! Che poi dicono che quella di gallina sia meglio per la ganja, ma questo è un'altro discorso.

Comunque raga, io stavo lì col muso all'insù, a fantasticare su una mia serretta costruita con quel sistema e a bagnarmi i dread, avevo appena finito di sistemare una valvola per la pressurizzazione dell'acqua, quando ricevetti un'altra comanda. Sul mio deck, mi comparve l'indirizzo di questo centro per anziani, Villa Arzilla, si chiamava, e le info. La chiamata aveva priorità alta, avevano un cesso che era esploso, e forse i poveri vecchietti si erano risentiti. Comunque sia, raccolsi i miei attrezzi e mi avviai verso l'uscita. "-.
Blasta staccò un pezzettino di carne dal topone che stava rosolando sopra al fuoco, e subito lo sputò in terra. -" Non ci siamo ragazzi, è ancora crudo. "-, disse, poi si voltò a guardare il robot adagiato sul muro, era ancora sporco di sangue eppure sembrava così inerme!
Ravvivò un poco il fuoco poi riprese a raccontare. -" Guidai tranquillo fino al raccordo, avevo messo su un bel pezzo raggamuffin' di Luboy Al e Fratello Spakka, il mio trerrote cabinato rimbombava come un vero sound system, e io me la stavo godendo, strombazzando ad ogni pischella che mi attraversava la strada. Il GRA non era ancora stato chiuso nè tantomeno militarizzato, c'erano solo i varchi elettronici ed i caselli per il pedaggio, ma io avevo i permessi, e potevo andarmene a zonzo come mi pareva per la città, senza cacciare du' spicci, dentro e fuori le mura, una gran cosa sopratutto per procurarmi la roba, ad uso personale naturalmente più piccole forniture agli amici tanto per arrotondare. Comunque arrivai all'indirizzo indicato in circa mezz'ora, girai tutto l'isolato ma non c'era neanche un buco di pargheggio, quindi misi in seconda fila e lasciai un biglietto per quello in prima fila: pace fratello, chiamami prima di incazzarti, e il mio numero di cell. Mi sarebbe dispiaciuto se m'avesse ammaccato l'Apecarro, era un modello un po' datato di furgoncino da lavoro, ma io c'era affezionato!
Comunque arrivai al cancello e citofonai. Driin!! Una bella signorina s'affacciò al videocitofono e mi sorrise, -" Lei è l'idraulico?-, " Si", gli risposi, " sono il signor Blasta, della Multi Tecno Services.", dissi ben dritto sulle spalle. Contegno è metà guadagno!, mi diceva sempre mia nonna buon'anima, lei era una persona molto saggia, una brava donna che veniva dalla giamaica italiana, dove c'è sempre il sole e l'erba cresce rigogliosa. Attraversai un giardinetto grazioso, con piccoli alberi ed aiuole di fiori, e panchine, e vecchi bavosi che guardavano in terra inebetiti. Poi salii alcuni gradini e mi ritrovai in una specie di sala comune, dove i vecchietti se ne stavano sdraiati a fumare da grossi arghilè di plastica mentre guardavano cartoni animati da vari schermi tv appesi alle pareti, o disegnavano con grossi pennarelli colorati su lavagne luminose, o navigavano in internet, o giocavano a videogiochi datati come loro, roba che ancora si usavano le mani. Mi venne incontro la signorina di prima, quella che m'aveva sorriso dal videofono, -" Amen !"- gridai, e ragazzi.."-, Rasta Blasta si fece il segno della croce mentre continuava a parlare, -".. era una fata, avete presente una fata?, insomma un bel sorriso bianco su d'un viso grazioso incorniciato da due lunghe frangette di capelli castano chiari raccolti in una morbida treccia dietro la nuca, una camicettina bianca che malcelava un paio di bocce da bowling tonde e sode, un mini mini gonnellino bianco aderente su fianchi armoniosamente rotondi, e grazie rastafari alè selassiè!, lunghe affusolate gambe inguainate da calze a rete bianche che si infilavano in una paio di sandali con tacco modello ti pisto un piede e sei felice! Ragazzi, uno schianto, una dea, una madonna, m'innamorai a prima vista."-, il gigante dai lunghi dread lock aveva disegnato un cuore in terra mentre ricordava, i ragazzini si scambiarono un paio di gomitate mal nascondento i risolini.
Dopo una breve pausa Blasta riprese a raccontare, -" Salve, sono la dottoressa Serena Piras."-, mi disse porgendomi la mano, - " Rasta... Blasta."- riuscii a balbettare io. -" La prego, mi segua signor Blasta, abbiamo un problema in uno dei bagni del tredicesimo piano."- mi disse avviandosi e dandomi le spalle. Io avrei seguito quelle chiappe anche all'inferno ragazzi!! Comunque varcammo un paio di porte, e raggiungemmo l'ascensore. Entrammo, ma se lei non avesse parlato, io non sarei ancora riatterrato sulla terra, e non avrei notato che nonostante dovessimo andare al tredicesimo piano su quell'ascensore c'era solo un pulsante che indicava uno. Difatti il tragitto fu troppo breve per i miei occhi, e scendemmo quasi subito. -" Sa, signor Blasta, qui trattiamo diverse tipologie di patologie, e diversi pazienti. Degenti anziani, come avrà avuto modo di notare giù nella hall ed, ehm, altri meno anziani, ed affetti da malattie differenti. "-, mi posò una mano sulla spalla ragà, e le mie ginocchia si stavano piegando, poi mi si avvicinò per sussurrarmi in un orecchio, -" Confido nella sua discrezione signor Blasta."-, e vi giuro che quasi svenni ragazzi! Comunque si voltò e riprese a camminare in questo corridoio privo di porte o finestre. Raggiungemmo un nuovo ascensore che questa volta serviva tutti i piani da qui al trentesimo. Mentre salivamo la fata mi spiegò che i primi tre piani erano effettivamente dedicati ai vegliardi rincoglioniti, i restanti ventisette venivano invece frequentati da facoltosi pervertiti. -" Il piano tredicesimo è dedicato ai cultori dell'arse fisting, ed è appositamente attrezzato per questa pratica particolarmente invasiva dell'apparato rettale. Putroppo proprio per questo motivo, per questa insolita ma per alcuni piacevole pratica sessuale, la toilette è un elemento strettamente necessario, ed è per questo che abbiamo richiesto il suo intervento. "-
Mi accompagnò in questa stanza dove un grande letto era sormontato da una strana struttura di cuoio e acciaio, una specie di altalena, e sul tetto uno specchio enorme. Lenzuola sporche di sangue erano ammucchiate al centro del letto. Entrai nel bagno. Il pavimento era invaso d'acqua sporca e maleodorante. Posai sul lavandino la mia cassetta degli attrezzi e cominciai ad armeggiare con il raccordo dello scarico. Ogni tanto davo una sbirciata alla bella dottoressa, ed ogni volta lei mi ricambiava il sorriso.
Era amore vero ragazzi!
Comunque appena finito di estrarre dallo scarico un grosso ciuffo di capelli, un preservativo usato, una saponetta a forma di ranocchia ed una carota in due pezzi, la mia dolce regina ricevette una chiamata.
-" Ancora loro?!", disse all'interlocutore, - " Non è possibile! Non è tollerabile, questo è un vero e proprio abuso, abbiamo già pagato anticipatamente! Si, si, ok digli di aspettare ora scendo. Maledetti sbirri! "- Cosà?, pensai, gli sbirri importunano la mia ragazza? Giovani vi giuro che ero già diventato rosso di rabbia, ma cercai di mantenere un certo contegno con la mia fata, - " C'è qualche problema dottoressa Piras?", chiesi cordialmente mentre risistemavo il tubo al suo posto, e spruzzavo con il massimo della professionalità un poco di sprai autosigillante.
- " Non si preoccupi signor Blasta, una scocciatura. Sa paghiamo regolarmente le tasse per la nostra attività, e paghiamo la Commissione per la Salute Pubblica, ed i vari uffici tecnici della municipalità di Roma, e naturalmente paghiamo la Polizia. Paghiamo bene, denaro e servizi extra, praticamente non c'è perversione negli uffici pubblici che non sia stata soddisfatta nella nostra struttura. Ma gli sbirri soprattutto sono i più avidi, e tra un servizietto e l'altro ci hanno scambiati per la loro banca! Perdoni il mio linguaggio signor Blasta, ma sono dei veri bastardi!"-, con queste precise parole mi spiegò la situazione mentre già stavamo entrando nell'ascensore.
Ragazzi non so bene cosa mi prese, e cosa mi passò per la testa mentre scendevamo, comunque, quando la porta si aprì sul piano terra io afferrai la meravigliosa signorina e le diedi un bel bacio sulla bocca, poi afferrai il mio pappagallo più grosso dalla borsa degli attrezzi e gridando come un pazzo mi misi a correre. Credo che sfondai un paio di porte prima di presentarmi davanti a due sbirri mezzeseghe che facevano gli spiritosi con i loro manganelli. Gli dissi, -" Sbirri, lasciate in pace la mia ragazza!", poi mi gettai su di loro. "-
Rasta Blasta si era alzato in piedi trasportato dalla foga del racconto, prendendo a pugli l'aria davanti a se. Quando fu di nuovo calmo si rimise seduto in terra. I ragazzi nel frattempo lo guardavano ammirati.
-" Ci vollero giorni per ripulire gli schizzi di sangue. Ed i vecchietti si divertirono un mondo. La dottoressa Piras mi ringraziò regalandomi una seduta a mia scelta tra quelle offerta dalla clinica, ma io le chiesi solo un bacio. Poi dovetti nascondermi per un bel pezzo sotto la metropolitana, in una delle stazioni occupate della linea C. "-
Rasta Blasta aveva finito il suo racconto, tolse il topo dal fuoco, lo fece in pezzi e distribuì il cibo. I due ragazzini presero a mangiare avidamente. Il loro robot Ecatombe giaceva in silenzio nel suo angolo.
-" Ci vorrebbe una canna."- disse Rasta Blasta.