domenica 20 aprile 2008

Ombre Rosse: il poliziotto


Ero abbandonato ad un sonno pesante, lontano dal mondo reale, cullato dalle onde d’un sogno cristallino come le acque nelle pubblicità di viaggi in paesi esotici, quando squillò il telefono. Alzai la testa dalla scrivania e mi guardai intorno, intontito. Allungai un braccio e tirai l’apparecchio verso di me. Sollevai la cornetta e l’avvicinai all’orecchio. -“ C’è un incarico per te. Vieni nel mio ufficio.”- Disse una voce dall’altra parte, e riappese. Mi tirai su ed appoggiai la schiena alla sedia. Presi una lattina di birra superstite e bevvi un sorso, quindi svuotai il posacenere pieno nel cestino della carta straccia e mi accesi una sigaretta.
Ero solo, nell’ufficio che dividevo con altri tre colleghi e pile di carte con più giorni di servizio di noi quattro messi insieme. Un’altra notte passata in quel posto squallido, in compagnia dell’individuo squallido che ero. Era da tempo ormai che non tornavo a casa. Del resto non vedevo nessun buon motivo per tornare al mio focolare, e molti motivi per starne alla larga. Mia moglie aveva smesso anche di chiamarmi.
Cercai di alzarmi in piedi ma dovetti appoggiare entrambe le mani sul ripiano della scrivania, ed attendere che la testa smettesse di girarmi. Poi mi ricomposi alla spiccia, infilai la giacca e mi diressi alla porta. Stavo già girando la maniglia quando tornai indietro per sciaquarmi la gola. Gettai la lattina vuota e mi avviai.

Il capo stava innaffiando le piante del suo ufficio elegante ed ordinato. Anche lui era elegante ed ordinato, ben pettinato, con un paio di pesanti occhiali appoggiati tra naso ed orecchie, entrambi più grandi del normale. Era voltato di spalle verso la finestra, ed io ero entrato senza bussare, eppure cominciò immediatamente a parlare. La prima parte del suo discorso si perse come l’acqua che spruzzava con il nebulizzatore. Cercai di mettere in moto quello che restava del mio cervello per capire cosa mi stesse dicendo. Si trattava della solita predica, ma mi concentrai comunque per tradurre i suoni in parole sensate. Il profumo del suo dopobarba mi fece spalancare i polmoni, forse aveva aggiunto uno stimolante sensoriale alla lozione. Non venne al punto finché non ebbe innaffiato abbondantemente anche me, e solo dopo essersi accomodato dietro la sua preziosa scrivania. – “ Si tratta di un sistemista della Shortcode. E’ scomparso. “, disse digitando qualcosa sul suo terminale. – “ Temono che sia stato rapito, o che si sia venduto a qualcun altro “- Era proprio bella la scrivania del mio capo, in acciaio e vetro temprato, con la pianta della città interna in rilievo sabbiato. Ogni scrivania era una conquista, era un confine tra chi ha potere e chi ne ha meno, le persone inutili non avevano una scrivania. Io ce l’avevo ancora, ma il mio potere era veramente ridotto a brandelli, come il mio distintivo.
- “ Sono disposti a pagare bene, ma vogliono discrezione nell’ambiente. “-, fece un respiro profondo, lisciandosi la barba nera e ben curata. – “ Vedi di non rompere troppe finestre e trova lo stronzetto. T’ho inviato tutto alla tua postazione. “-
Tutto era un nome, Giovanni Bacus, la foto di un ragazzetto di quarant’anni circa, un altro nome, Shortcode,e un indirizzo.

Al primo varco, due guardie private in divisa corazzata, mi fecero passare solo dopo avere scannerizzato il mio distintivo. Erano entrambi più alti di me, più muscolosi e sicuramente più armati. Un perfetto quadretto sulle forze di sicurezza nella nostra città, in cui io rappresentavo la giustizia malmessa e loro il potere del mercato. Del resto anche la polizia era sul mercato, con un successo commerciale dovuto più alla forma che alla sostanza.
Il secondo varco era videosorvegliato. Dovetti premere un pulsante ed aspettare che mi facessero una foto. Poi lentamente il cancello scivolò sui binari ed una fila di luci si accese ad indicarmi il cammino. Davanti ad un ampio portone di vetro altri due giganti mi stavano aspettando. Seguì un’identificazione al banco della reception, dove una signora di mezza età con un cesto di ananas in testa mi fece le solite domande di rito. Nome, cognome, data di nascita, codice fiscale e numero di distintivo, più la seconda e la quinta cifra del mio pin di cittadinanza. Dopo tre o quattro sospiri la ciquita bacana in tailleur mi diede un pass e le istruzioni per raggiungere l’ufficio del capo della sicurezza.
Lo raggiunsi e trovai ad aspettarmi un ometto con la faccia da topo che mi fece accomodare su di una sedia. –“ Non ci interessa sapere se è vivo o morto”-, disse allungandomi una sim – “ ci basta sapere che non sia stato rapito o non si sia venduto alla concorrenza. E’ un programmatore brillante, ed è a conoscenza di alcuni nostri progetti importanti. In quella memoria troverà il contenuto del suo PC aziendale.”
-“ Perché si è rivolto alla polizia, se non vi interessa sapere se è vivo o morto? Perché non un’agenzia qualsiasi di investigazioni?”-, gli chiesi infilandomi la memoria in una tasca della giacca. Sorrise e disse – “ Perché costate meno. “-, poi dedicò la sua attenzione a riordinare alcune cartelline gialle. Stavo girando la maniglia quando bisbigliò qualcosa tipo: -“ Ce lo riporti indietro, comunque. “-

Parcheggiai l’auto davanti ad alcuni inceneritori di rifiuti e presi da sotto il sedile il mio portatile. Inserii la sim e cominciai a curiosare nella memoria del mio nuovo amico. Appunti di lavoro, files di archiviazione e programmi vari. Aprii il messenger e trovai un nuovo messaggio. Era la notifica di un forum per cybernauti che avvisava esserci una risposta ad un tag aperto da Gio98. Ciccai sul link in fondo al messaggio e mi ritrovai nella home page di un sito sulla programmazione e l’hacking. Per accedere al forum però bisognava essere loggati. Inserii come username Gio98, ma non conoscevo la password. Ciccai su “Hai dimenticato la password?”, e mi venne chiesto il nome del mio animale preferito.
Mi accesi una sigaretta ed abbassai il finestrino.
Era una bella giornata, si riusciva addirittura a respirare senza i filtri nasali.
Alcuni ragazzi stavano prendendo a calci un auto parcheggiata, mentre un anziana signora si godeva la scena da una finestra al primo piano. Un tagliacapelli ambulante stava recuperando da terra i capelli dell’ultimo cliente. Un’altro pelato in città sarebbe stato felice di regalargli i suoi soldi.
Da un mucchio di rifiuti sbucò un gatto leccandosi i baffi.
Tornai a guardare lo schermo.
Scrissi micio sorridendo, ed il sistema mi fece accedere.
Forse era la mia giornata fortunata, o forse il nostro ragazzo era uno di quelli che mantenevano un ingrato scroccone a quattro zampe.
Trovai il tag in questione, ma il messaggio di risposta era già stato letto.
Un certo Traghettatore aveva scritto tre serie di numeri, 198.32.127 .
O il nostro amico aveva aperto il messaggio da qualche altra postazione, oppure non ero il solo quel giorno ad essere fortunato. Ma escludevo che qualcun altro oltre me si interessasse al piccolo, per cui doveva essere valida la prima ipotesi.
Lanciai il mio tracciatore di ip ed impostai la ricerca dall’ultimo link visitato. Ottenni quello che volevo. La macchina dalla quale avevano effettuato l’accesso a quel forum e a quel messaggio era registrata come postazione ghost di un caffè dalle parti di Piazza Vittorio. Poggiai il portatile sul sedile del passeggero, poi aprii il mio sportello e scesi dalla macchina. Mi appoggiai su un fianco a finire in pace la mia sigaretta. Era una bella giornata, non si sentivano sirene nell’aria, non c’erano spari, e la puzza era accettabile.
Una volta tutta questa città era normale, come questo quartiere. Prima che i rioni fossero abbandonati, e ripopolati, e abbandonati di nuovo. Tutti volevano andare tra le stelle.
Gettai in terra il mozzicone, avevo una traccia. Rientrai in macchina, misi in moto il motore e partii.

Nessun commento: